Davanti a un dramma tremendo come quello consumatosi in via
Uditore, è legittimo cedere alla piena delle emozioni e gridare la propria
rabbia contro l’assassino, invocando nei suoi confronti le pene più crudeli. È
questa, scorrendo i commenti “a caldo” che ci consegna Internet, la reazione
della grande maggioranza dei palermitani. Corrisponde a questo stato d’animo,
del resto, la tendenza alla demonizzazione dell’assassino da parte dei mezzi di
comunicazione, secondo il vecchio principio dello «Sbatti il mostro in prima
pagina». Si può anche, però, provare a
riflettere, chiedendoci come si sia arrivati a un crimine così atroce, invece
di limitarsi a esigerne, giustamente, la punizione. Non per attenuare le
responsabilità di chi ha commesso questo atroce crimine, ma per cercare di
capire.
Per la verità, in alcuni dei commenti, una causa viene
individuata e sarebbe la scarsa severità delle leggi e dei magistrati di fronte
alla criminalità dilagante. Molti oggi, di fronte a questo feroce delitto,
evocano esasperati la pena di morte come deterrente che, a loro avviso,
garantirebbe maggior sicurezza per i cittadini onesti. Purtroppo, però, le
statistiche dicono che, nei Paesi dove questo deterrente esiste, il livello di
violenza raggiunge i massimi livelli.
Non ci si può dunque fermare a questa pretesa spiegazione e
bisogna cercarne altre, che coinvolgono le dinamiche in corso nella nostra
società. Anche se è scomodo, perché è più facile esorcizzare i propri problemi
scaricandoli su un mostro, che prenderli sul serio.
Potrebbe forse essere utile, per esempio, ricordare la
frequenza degli atti di violenza di fidanzati e mariti nei confronti delle loro
partner, specialmente quando ne vengono abbandonati. È un dato di fatto che
oggi le donne – almeno quelle occidentali - hanno una libertà di scelta
immensamente maggiore di quella che avevano fino a pochi decenni fa. Un tempo
una ragazza sognava solo di accasarsi. All’uomo spettava decidere, fra le
possibili aspiranti, la più adatta alle sue esigenze. Ormai non è più così. Le
donne rivendicano, giustamente, una par
condicio nella scelta e questo spiazza ancora oggi un mondo maschile poco
capace di adattarsi al nuovo clima culturale. Molti atti di violenza – forse
anche quello di Samuele Caruso – nascono da questa rabbiosa incredulità dell’uomo
di fronte a un rifiuto che appare inspiegabile e perciò tanto più umiliante.
Ciò che essi esprimono non è la forza, ma la debolezza, l’insicurezza, perfino
l’impotenza, dell’antico signore di fronte all’emancipazione dell’altro sesso.
Si può però provare ad andare ancora più a fondo. Viviamo in
una società che viene comunemente definita “consumistica” perché in essa è possibile avere in tempo reale tutto ciò che
si desidera. In passato per conquistare un oggetto era necessaria una lunga
attesa, si dovevano fare dei sacrifici. Oggi basta avere i soldi. Questo clima
si riflette sui rapporti personali e in particolare su quelli tra i due sessi. Prima,
per coronare i propri desideri amorosi, ci
si doveva impegnare in un paziente corteggiamento, vivere un lungo tirocinio di
fidanzamento, far maturare le proprie immediate pulsioni elevandole al livello
di desideri. Oggi anche le relazioni uomo-donna sono dominate dalla logica
consumistica della fretta e dell’immediato appagamento. Tutto e subito.
Questo però rende insofferenti di fronte agli ostacoli. Le
pulsioni vengono scambiate automaticamente per desideri, i desideri diventano
pretese, le pretese vengono scambiate
per diritti. Non è solo nel campo affettivo che vediamo accadere questo: basta
guardare gli scenari della nostra società italiana e palermitana. In questo
contesto, che abbiamo creato e alimentiamo ogni giorno tutti noi, un “no”
diventa inaccettabile e contro di esso si scatena la furia di chi si sente
rifiutato.
Specialmente se, come Samuele Caruso, percepisce questo come
l’ennesima ingiustizia della vita nei propri confronti. Condizione sociale
modesta. Dopo anni di studio e un diploma, niente lavoro e neppure la
prospettiva di trovarne. Unico sbocco di illusoria realizzazione Face Book, dove incontra una ragazza
come Lucia Petrucci, carina, intelligente, studentessa del liceo classico, di famiglia
più elevata socialmente, che per un momento gli dà l’idea di una svolta
esistenziale. E poi anche questo finito.
La vita non è facile per i giovani d’oggi, condannati come
sono a non avere un futuro. E per una certa fascia, che non è certo quella dei
privilegiati, lo è meno ancora. Questo non diminuisce di un millimetro la
tremenda colpa di Samuele Caruso (uno che si porta in tasca un coltello,
andando a cercare la sua ex ragazza, non può poi scusarsi dicendo di aver perso
la testa). Ma forse può farci interrogare sulle responsabilità che anche noi, i
suoi accusatori, abbiamo, per aver costruito un mondo come questo, in cui un ragazzo
di 23 anni può credere di avere il diritto di uccidere.
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