La Sicilia alle urne tra disperazione e speranza

Domenica prossima i siciliani dovranno eleggere la nuova Assemblea regionale e il nuovo governatore. Di fronte all’imminenza di questo appuntamento, che dovrebbe essere una festa della democrazia, quelli di loro che si pongono il problema di votare secondo coscienza e che per di più leggono i giornali (non sono moltissimi)  sperimentano uno stato d’animo vicino alla disperazione.   Scartata la tentazione di non andare a votare – la scelta peggiore, poiché in questo modo si lascia che a decidere   siano coloro che non si fanno scrupoli di sorta -  , scartata anche quella di votare per l’anti-politica (che poi è solo cattiva politica, qualunquista e confusionaria), si tratterebbe di scegliere tra programmi puramente cartacei, pieni di promesse di cui si sa bene che non verranno mai mantenute, ora come in passato, e tra forze politiche che invece contano, ma non per le loro idee (ammesso che ne abbiano), bensì per i loro comportamenti concreti.
E qui nasce la disperazione, perché l’immagine che ciascuna di queste forze politiche ha offerto di sé fino ad ora, nella gestione del potere, è tale da togliere ogni speranza a chi abbia una minima conoscenza dei fatti. Siamo stati  in questi anni - e in modo ancora più evidente in questi ultimi mesi – davanti a uno spettacolo indegno. La difesa ad oltranza dei propri privilegi (del tutto ingiustificati, peraltro, anche per la qualità dei soggetti che ne godono) da parte della classe politica al completo, la più sfacciata compravendita del consenso clientelare da parte di chi aveva una qualunque particella di potere per farlo, il totale disinteresse per i problemi di una regione che sta andando a picco,  sia da parte di coloro che avrebbero dovuto governarla, sia da parte di quelli che avrebbero dovuto esercitare una sana opposizione, hanno sostituito quella che altrove viene chiamata “politica”, trasformandone la stessa natura. In Sicilia non si fa politica.
E questo non di nascosto, come in altre regioni, dove l’emergere di una simile aberrazione suscita sconcerto e denunzie. In Sicilia non possono scoppiare scandali, perché tutto è alla luce del sole, senza pudore. Sì, il malcostume è sempre stato una minaccia per la politica, ma in altri posti esso deve nascondersi, per non offendere la coscienza della popolazione.   Da noi non è così. Nessuno si vergogna e nessuno si indigna di niente.
Perciò l’appuntamento elettorale, che ci chiama come cittadini responsabili a scegliere il meno peggio in questo panorama, non può costituire   l’orizzonte ultimo di chi veramente vuole impegnarsi per la crescita della Sicilia. Qui si deve guardare oltre la scadenza del voto e puntare a far nascere, mediante una formazione adeguata, una partecipazione dal basso che dia luogo a una nuova classe politica, con nuova mentalità e nuovi stili, per non trovarci fra qualche anno a ripetere queste tristi considerazioni.
E questo può costituire, anche in rapporto alle imminenti elezioni, un criterio di scelta. Bisognerebbe cercare di individuare, tra i candidati, quelli che non sono stati, né direttamente né indirettamente, compromessi con  la gestione del potere e che si impegnano a lasciarsi giudicare, in un confronto permanente, dai loro elettori, sulla base di alcuni elementari princìpi (per esempio la solidarietà e la sussidiarietà) e in rapporto ad alcuni concreti progetti (per esempio la riduzione del numero e degli emolumenti dei membri dell’Assemblea regionale). Partire anche da questi pochi, per il lavoro da fare dopo il voto.
Non è molto. Ma, nel buio pesto di questa vigilia, può costituire pur sempre un sottile, fragile spiraglio di speranza.

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